Qui non si fanno recensioni, perché non mi interessa recensire i libri e perché credo di non esserne capace. Ho solo voglia di tenere traccia delle mie letture, di raccogliere gli spunti che ne sono scaturiti e qualche citazione che reputo interessante, e che non è detto che sia quella più rappresentativa.
E poi sto cercando di darmi un metodo e dei limiti, perché quando si tratta di comprare libri ho letteralmente le mani bucate, voglio cercare di capire cosa compro, cosa leggo e cosa non leggo (e, quindi, se non lo leggo, perché lo compro?).
A gennaio il mare è stato molto presente, da una parte quello che circonda l’arcipelago delle isole Lofoten in Norvegia, dall’altra quello cantato da Omero. Nel mezzo ci sono stati un libro sulle parole, un fumetto di Zerocalcare, la scoperta di Rocco Schiavone, e ‘Teoria della classe disagiata’ con cui ho voluto iniziare l’anno per chiarirmi le idee su come affrontarlo.
La sinistra e altre parole strane, Michele Serra – Feltrinelli
Un libro di poche pagine, poche pagine dedicate alle parole, alla scelta delle parole, alla forma e allo stile.
«Contrariamente ai diffusi (sempre più diffusi) pregiudizi sul lavoro intellettuale, scrivere è faticoso, e molto artificiale – nel senso che non una sola parola è “naturale”, e tutte sono frutto di una scelta. La presenza del lettore e del suo imminente vaglio è costante. Ci si sente osservati.»
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Il libro del mare, Morten A. Strøksnes – Iperborea
È sempre piacevole leggere avventure di mare.
L’autore e un suo amico, un po’ artista e un po’ pescatore, decidono di dedicarsi alla caccia dello squalo della Groenlandia. Questo è il nucleo narrativo del libro, poi ci sono informazioni sul mare, sugli abissi, sugli abitanti acquatici di questa parte di mondo, e ci sono, soprattutto, amore e rispetto per il mare.
«In tutte le estinzioni di massa, incluse quelle originariamente causate da comete, il mare ha avuto un ruolo chiave. I grandi cicli e processi marini avvengono così lentamente che quando i problemi si presentano è ormai troppo tardi per intervenire. Il mare ha un tempo di reazione di circa trent’anni.»
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Pulvis et Umbra, Antonio Manzini – Sellerio
Ho conosciuto Rocco Schiavone leggendo l’ultimo libro della serie. E poi ho deciso che avrei fatto le cose per bene, ma ho scoperto la serie tv e ho approfittato della settimana di influenza per vedere le puntate della prima stagione e, quindi, mi sono bruciata la sorpresa dei primi libri. Però, allo stesso tempo, mi sono ripromessa di leggerli tutti in rigoroso ordine cronologico, ma è un impegno che ho preso con me stessa e poi molto dipende da quando riesco a trovare quelli usati. Insomma, questo con Rocco Schiavone nasce come un rapporto complicato.
«Le luci della sera erano calate da una mezz’ora e l’aria era fresca e piacevole. Qualche ritardatario con passo affrettato rientrava a casa. Lui invece se ne stava lì, fermo, sul marciapiede di via Brean. Non si decideva. Bastava solo attraversare e suonare il citofono, il resto sarebbe venuto da sé. Eppure quel piccolo passo non riusciva a farlo. Le mani nelle tasche, continuava a stropicciare il foglietto di carta con l’indirizzo: via Brean 12, Studio Emme.»
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Teoria della classe disagiata, Raffaele Alberto Ventura – Minimum Fax
Ventura ha definito questo suo lavoro “il lamento di tutta una generazione”.
Per avere un’idea dei contenuti del libro e per capire a cosa si riferisce l’espressione “classe disagiata” rimando al sito dell’editore. Per leggere post e interventi critici, basta fare una ricerca e Google restituirà diversi risultati, alcuni interessanti altri meno.
Le considerazioni sull’importanza dei patrimoni familiari, sul ‘mito’ e sul ‘fallimento’ del diritto allo studio universitario, sugli anni dedicati/sprecati a studiare e a impegnarsi nell’attesa e nella speranza che i ‘meriti’ venissero riconosciuti, le promesse mantenute e le ambizioni adeguatamente soddisfatte, hanno confermato quello che pensavo.
Allo stesso tempo, da una parte, mi ha messo qualche pulce nell’orecchio, la riflessione su istruzione e sistema educativo, per esempio, è spiazzante e non ho ancora capito se e fino a che punto la condivido, e, dall’altra, mi ha lasciato una lista di libri da leggere e da scoprire.
È un po’ rude, e forse proprio per questo mi è piaciuto, e forse è anche un po’ consolatorio e assolutorio. Conoscevo già l’argomento prima di iniziare a leggerlo, però, non so come dire, forse era un punto di vista che volevo fare completamente mio, nella speranza che possa essermi d’aiuto per prendere decisioni e per essere più concreta.
«La classe disagiata verrà interamente consumata. Un solo compito le resta: testimoniare.»
P.s. A un certo punto si tira in ballo un articolo di qualche anno fa, “How Academia resembles a Drug Gang” di Alexandre Afonso, che ho cercato e letto. È un articolo che prende in considerazione gli elementi in comune tra le gerarchie interne alle gang di spacciatori e quelle interne al mondo accademico: in entrambi casi, c’è una forte contrapposizione tra lo status di chi occupa la base e fa il lavoro sporco, e quello di chi occupa i piani alti e ha diritti e privilegi, che non sono solo economici ma anche e soprattutto di status; in entrambi i casi, chi occupa la base è disposto a correre rischi, fare sacrifici e sopportare pessime condizioni lavorative e di vita per poter un giorno, se ci riuscirà, perché sono sempre meno quelli che ci riescono, raggiungere i piani alti e quindi godere di diritti e privilegi. I sistemi accademici che vengono presi come esempio da Alexandre Afonso sono quello americano, quello tedesco e quello inglese.
E niente, io usavo l’espressione ‘carne da macello’ per descrivere me e chi occupava la base.
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Dimentica il mio nome, Zerocalcare – Bao Publishing
Il mio primo Zerocalcare, si tratta di un regalo di compleanno, il compleanno dello scorso anno, complici i postumi dell’influenza, l’ho letto in una sera.
Il mio primo Zerocalcare mi è piaciuto.
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La presa di Troia. Un inganno venuto dal mare, Francesco Tiboni – Edizioni di storia e studi sociali
Ho scoperto questo libro leggendo un articolo. Non ho le conoscenze per valutare se le conclusioni di questa ricerca possano essere prese per buone e se l’intero procedimento regga, e quindi nemmeno mi sono accorta se ci sono incongruenze nel metodo e nell’analisi delle fonti, letterarie e di archeologia navale, cui si fa riferimento. Però seguire il ragionamento con cui si cerca di dimostrare che il Cavallo di Troia non era un manufatto a forma di cavallo ma una nave è stato molto divertente.
«Per comprendere in che modo una nave possa essersi trasformata nel corso del tempo in un cavallo è innanzitutto indispensabile partire dai fatti narrati da Omero. Del resto, dal momento che la nostra ricerca è a tutti gli effetti una ricerca di archeologia, e in questo caso di archeologia navale, non ci è possibile in alcun modo prescindere dal dato oggettivo. E dobbiamo partire dal testo proprio perché pochi episodi, nella storia e nella letteratura, ci risultano così ovvi e scontati come quello del cavallo di Troia, pur senza che ne ricordiamo esattamente la narrazione di prima mano. Iconografia, tradizione e leggenda hanno cristallizzato una idea condivisa che, nella sua oggettività, poggia su basi poco sicure.»