Letture: dal greco al copywriting

la lingua genialeNon farò una recensione perché non sono brava a fare le recensioni, non lo sono mai stata, nemmeno quando mi capitava di farne per lavoro (diciamo) (erano i tempi in cui bazzicavo gli ambienti accademici e fare recensioni voleva dire, soprattutto, avere libri in omaggio).

 

Andrea Marcolongo, La lingua geniale. 9 ragioni per amare il greco

La maggior parte delle cose che riguardano il greco non le ricordo, della restante minima parte ho invece un ricordo molto vago, ho smesso di studiarlo il 14 luglio del 1993, dopo l’orale della maturità (e dopo che durante quest’ultima prova mi fecero passare sotto gli occhi il compito che, mi dissero, non aveva senso).
Non sono mai stata brava, soprattutto nello scritto, con il latino le cose andavano meglio, ma con il greco la maggior parte delle volte mi sembrava una battaglia persa. Usavo il Rocci, il vocabolario, usavo quello che era stato il vocabolario di greco di mio padre, la copertina rigida sempre lì lì per mollare gli ormeggi, pagine scurite dal tempo, caratteri piccolissimi e parole su parole in cui era difficilissimo districarsi.

È successo che ho letto di questo libro e della sua autrice perché era in programma una presentazione a Matera (era in programma quando c’era la neve, quindi è stata annullata), mi sono incuriosita abbastanza da decidere di comprarlo e leggerlo.
Però c’è un antefatto, e cioè che spesso, soprattutto negli ultimi anni, mi capita di chiedermi quale è l’eredità del liceo classico che mi porto dietro. Qualche risposta credo di averla trovata in questa lunga citazione, o forse è questa lunga citazione che mi ha dato qualche risposta spingendomi a cercare nelle cose che faccio quotidianamente.
Ho fatto una verifica veloce nei testi degli ultimi 3 lavori di SEO copywriting di cui mi sono occupata e ho usato spesso le espressioni “da un lato / dall’altro” e “da una parte / dall’altra”.
Più che a fare un tuffo nel passato mi sono ritrovata a nuotare nel presente.

Curioso è osservare l’eredità di cinque anni trascorsi a tradurre il greco al liceo classico dopo dieci, venti, trent’anni dal diploma. Non mi riferisco all’eredità grammaticale, ma all’impronta che maneggiare questa lingua antica lascia in modo indelebile nell’italiano di chi l’ha studiata.
Li riconosci spesso quelli che hanno frequentato il liceo classico (non solo dagli occhiali che quasi sempre portano). Li riconosci dal modo di parlare e di scrivere: segno concreto che il greco è entrato dentro di loro, nel modo di vedere e di esprimere il mondo in italiano, e mai più ne è uscito. Oltre alla ricchezza del vocabolario – inevitabile quando si sono passati cinque anni a studiare parole parole parole, parole bellissime – e ad una certa propensione all’ipotassi – cioè a discorsi complicati, fatti di lunghe subordinate -, alcuni modi di dire del greco non solo sopravvivono, ma anzi vivono in chi ha studiato il greco.
In primis, la correlazione. A forza di tradurre testi in cui i concetti si oppongono logicamente (i Greci adoravano contrapporre per rafforzare la pregnanza logica!), le frasi di chi ha faticato sul greco sono spesso binarie e infarcite di: “da un lato… / dall’altro…”, oppure “non solo… / ma anche…”.
[…]
In secundis, la pretesa di coerenza logica. Difficile, molto difficile, per chi ha sudato a tenere il filo delle speculazioni logiche ineccepibili dei dialoghi di Platone, essere oggi preso per il naso da un articolo di giornale manipolato, da un discorso incongruente di un politico, da un’opinione non richiesta su Facebook, dalle istruzioni contraddittorie di un manuale dell’Ikea.” [pp. 119-120 ]

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