È successo tanti anni fa, non ricordo quanti, studiavo a Roma e portavo i capelli lunghi, ero venuta a sapere che era possibile andare a fare 15 giorni di volontariato al Parco Nazionale d’Abruzzo e mi ero organizzata.
Era dicembre, probabilmente prima di Natale ma può anche darsi sia stato dopo, la mattina avevo incassato un 30 per uno di quegli esami dal nome stravagante che erano parte integrante del curriculum demo-etno-antropologico, avevo inventato non so quale scusa per poterlo sostenere prima che, da elenco, arrivasse il mio turno, volevo essere certa di riuscire a passare da casa, prendere lo zaino e arrivare in anticipo alla stazione Tiburtina.
Nello zaino avevo il giubbotto verde militare di mio padre, quello caldissimo, il cappellino nero con la stellina dorata e tanti vestiti pesanti, ero stata avvisata: avrei trovato neve e freddo.
Più o meno in questo modo sono iniziati quelli che ricordo come i miei 15 giorni in ghiacciaia!
Arrivata a destinazione avevo incontrato gli altri compagni di avventura, ci avevano dato i distintivi di volontari del Parco e ci avevano divisi in piccoli gruppi per svolgere le nostre attività di sorveglianza, vigilanza, approvvigionamento mele per non so quali animali, varie ed eventuali.
Nel mio gruppo eravamo in tre: io, Emanuela e Antoine.
Emanuela veniva da Avezzano, un paio di anni meno di me, studiava a Roma anche lei, siamo diventate amiche e abbiamo continuato a frequentarci anche dopo.
Antoine veniva dalla Francia, di diversi anni più grande, appassionato di montagna, automunito e con una grande, ma davvero grande, passione per gli orsi.
Da una parte c’eravamo noi, io ed Emanuela, un po’ sfilazze che ci trascinavamo tutte imbaccucate senza affaticarci troppo, dall’altra c’era lui appassionato e ligio al dovere, in mezzo qualche difficoltà linguistica.
Di sicuro non eravamo un gruppo poco assortito!
La prima volta che ci siamo occupati dell’approviggionamento mele, che le abbiamo raccolte, messe nelle carriole e buttate in un furgoncino, è stato chiaro che io ed Emanuela non eravamo tagliate per i lavori pesanti; la prima notte che Antoine ci ha convinte ad andare a dormire in una roulotte posizionata in un luogo stategico per avvistare gli animali, abbiamo capito che la notte volevamo dormire comode e al caldo; alla nostra prima perlustrazione abbiamo dimenticato la mappa, o meglio io ed Emanuela abbiamo dimenticato la mappa, ci siamo persi tra le montagne del Parco ed è stato solo grazie all’esperienza di Antoine se non avete sentito parlare di me anni fa e in altre circostanze, in compenso abbiamo camminato in bilico tra le montagne, qualsiasi cosa voglia dire la ricordo così.
La prima volta che io e Antoine siamo andati soli in escursione, Emanuela si era data malata, ha dovuto soccorrermi quando sono scivolata su una lastra di ghiaccio, ero stata avvisata circa il freddo e la neve ma sul ghiaccio no, cioè nessuno mi aveva detto di fare attenzione e di non camminarci sopra con nonchalance.
Nonostante i nostri involontari tentativi di sabotare il suo periodo di volontariato, Antoine andava alla ricerca degli orsi, cercava i marsicani, voleva vederli e spesso usciva anche di notte. Era informatissimo sulle loro abitudini e cercava le tracce per seguirne gli spostamenti nell’area in cui soggiornavamo. Io ed Emanuela non eravamo sempre molto convinte quando andavamo in giro con lui, l’ultima cosa che avremmo voluto era incontrare un esemplare di marsicano, però quando i nostri ritmi circadiani non rischiavano di essere troppo alterati, lo seguivamo.
Un giorno è tornato con un trofeo: la cacca di un orso!
L’ha conservata con cura in un barattolo e ce l’ha mostrata con entusiasmo e gioia, entusiasmo e gioia che facevamo fatica a condividere, quella era cacca e, nonostante fosse cacca santa di orso, per noi rimaneva una cosa schifosa e brutta da vedere.
Antoine ci diceva che voleva mostrarla ai bambini, perché quelli delle città francesi “avevano una vaga idea di come fossero fatte le mucche, figuriamoci gli orsi!”. Io ed Emanuela, però, a questa cosa che i bambini francesi non sapessero come erano fatte le mucche non ci abbiamo mai creduto.
Abbiamo passato 15 giorni così: tra lui che cercava di gestire due ragazzette un po’ svogliate e noi che eravamo sempre molto più propense a prenderlo in giro che a collaborare.
Abbiamo trascorso anche tanto tempo in macchina per spostarci, appostarci e fare le varie ed eventuali legate alla nostra attività di volontari. In quella macchina Antoine aveva tanti cd fantastici, tanta bella roba tra cui scegliere, è stato così che mi sono appassionata a Janis Joplin. Prima di allora avevo ascoltato un po’ di cose sue in radio, i pezzi più famosi, non conoscevo molto altro. In quei giorni ho iniziato a conoscerla meglio e a innamorarmi di quella voce calda e graffiante e ogni volta che Antonie chiedeva “Cosa ascoltiamo?” io avevo una sola risposta “Janis Joplin!”, ma non venivo sempre accontentata, secondo me era il suo modo di vendicarsi per tutto quello che riuscivo a combinare non appena indossavo il distintivo dei volontari del Parco.
Quando è arrivato il giorno dei saluti Antoine mi ha regalato il cofanetto di Janins Joplin che tante volte avevamo ascoltato. All’interno c’è la sua dedica per la sua “petite chipie”.
Non ci siamo più visti, Janis Joplin però la ascolto spesso.
Dopo essere rientrata a Roma ho acquistato, in una specie di trance, una pochette da borsa su cui erano disegnati degli orsi, tanti orsi, orsi di tutte le età e di tutti i colori!